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mercoledì 1 febbraio 2012

13 Anni

[Non ho foto oggi.
E come sempre, quando non ho foto,
ho un racconto lungo del difficile passato]

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Poi vennero gli anni in cui i cieli diventarono sempre grigi.
Non pioveva e non c'era il sole.
Il cielo era sempre uguale, di un grigio uniforme, ne chiaro ne scuro
che si estendeva su tutta la volta.
Non era grigio chiaro come qualcosa di leggero e passeggero.
Non era scuro come quando è carico di rabbia o di cattivo umore.
Il sole non esisteva più.
Probabilmente non era mai esistito.

Il fallimento allo svezzamento,
il fallimento nel rapporto con i genitori,
la caduta dalle braccia della madre,
erano diventati negli anni
difficoltà di rapporto con la realtà.
A 13 anni, la scoperta dell'altro sesso,
causò la crisi insostenibile.
L'identità interna non era sufficiente
a reggere il rapporto con le ragazze.
Avrebbe dovuto maturare di più,
avrebbe dovuto strutturarsi di più,
trovare forza, sicurezza, coraggio.
Ma così non era stato ed adesso
l'insicurezza nel rapporto con le ragazze
diventava crisi ed aggressione del rapporto con la realtà.

L'isolamento e la solutidine diventavano
sparizione del mondo femminile
e nascondevano il terrore della delusione
ed il terrore del vuoto interiore.
La fantasticheria sostituiva i tentativi di rapporto
e copriva il mondo di una coltre nera, appiccicosa e soffocante.
La fantasticheria era la malattia stessa
ma si mascherava da innocuo placebo.
Si mascherava da fantasia raccontando
che pensare la realtà diversa da quello che è
fosse fantasia.
Ma non era fantasia dal momento che non interagiva
con il mondo. Ne creava uno diverso.
Sconnesso, avulso, separato, dissociato.

La fantasticheria era un tarlo della mente.
Si camuffava da pensiero e pensiero non era.
Era acido corrosivo per i neuroni.
Era droga che uccide le cellule del cervello
e dà dipendenza.
Era impossibilità di ritrovare il coraggio
di affrontare il rapporto
con il profondamente sconosciuto e perturbante corpo femminile.
La fantasticheria erano ragazze bellissime
ed innamorate di me.
Senza fatica, senza rapporto, senza preamboli,
senza ricerca, senza tentativi, senza corteggiamento,
senza problemi ... si concedevano e mi ammiravano.

La fantasticheria durò anni.
Almeno fino ai miei 18. Tutto il liceo.
Il mio rendimento scolastico, che era sempre stato molto buono,
calò vistosamente a causa della perdita di rapporto con la realtà
ed a causa della svalutazione del contenuto della realtà.
Non era più la realtà ad avere valore.
La realtà avrebbe avuto valore solo qualora fosse
per caso coincisa con le mie fantasticherie prive di rapporto.

La fantasticheria uccideva il rapporto ancora prima che nascesse,
perchè immaginava a priori ciò che sarebbe stato,
dipingeva il futuro, lo inventava per quello che non era
e cosi facendo rendeva il futuro stesso inaccettabile.
Il futuro poi diventava presto il presente persecutorio
fatto di cieli grigi che non avevano mai conosciuto il sole.
Il grigio era il colore del mondo svalutato.
Il grigio era il colore del mondo visto da occhi svuotati.

Perché il colore delle cose non sta negli oggetti stessi
ma nell'affetto che mettiamo quando guardiamo.


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Eppure non era sempre stato così.
La crisi era stata scatenata dal possibilità di rapporto con le ragazze.
Dalla scoperta del loro corpo e del mio.
Dalla scoperta del loro pensiero e del mio.

Prima di allora ero sempre stato un ragazzo vivace, allegro, vitale, capace.
Ero sempre stato il ragazzo di cui parla Dario nella sua bella lettera.
Correvo, saltavo, mi arrampicavo, pensavo.
Giocavo, esploravo.
Trainavo gli amici in imprese impossibili.
Mi affezionavo profondamente agli amici.
Credevo al contenuto sano degli esseri umani.
E ci credevo al tal punto che sapevo già verbalizzare questo concetto.
Ero già convinto, come lo sono ora,
che gli esseri umani nascono buoni.
Credevo alla bellezza di stare e fare insieme.
Credevo alla possibilità di affrontare tutto
ed alla possibilità di riuscire nei percorsi travagliati.
Anzi, i percorsi travagliati mi sembravano belli.
Gli ostacoli mi sembravano il bello della realtà
perché davano la possibilità a ciascuno di confrontarsi con le sue capacità.
Sentivo le mie capacità commisurate a qualunque sfida il mondo ponesse
e sentivo perciò la soddisfazione di riuscire in ciò che provavo a fare.

Vitalità.
Si, la vitalità era ciò che mi caratterizzava.
La vitalità mi faceva muovere e mi faceva pensare.
La vitalità non permetteva di perdere il rapporto con la realtà
neanche un minuto, neanche quando dormivo.
La vitalità guidava i miei piedi e le mie mani quando salivo su alberi di venti metri.
La vitalità guidava le mie braccia e le mie mani quando pedalavo solo e felice
all'Albereta e lungo l'Arno alla Nave a Rovezzano.
La vitalità creava le immagini dei miei sogni quando dormivo tranquillo la notte.

Ma qualcosa era fallito nel rapporto con gli adulti.
E questo qualcosa avrebbe poi creato il vuoto
che avrebbe reso difficile il rapporto con le ragazze.

[segue ...]

guzman









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