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domenica 27 novembre 2011

La carovana


"La carovana viaggiava sempre.
Non si fermava mai.
Per chi, come me, non era abituato ai ritmi ed ai riti della carovana
tenere il passo con gli altri era difficile.
Tutto, alla lunga, diventava una sorta di allucinazione.


Al mattino, se le quattro di notte si possono chiamare mattino,
bisognava smontare le tende.
Prima però bisognava aver rimesso nelle sacche, nelle valigie e  nelle casse 
tutto quello che era stato tirato fuori la notte prima.
I tappeti, le pentole, i fornelli, le bottiglie, le posate, i piatti,
le pelli, le lampade, il petrolio, le candele, ... e quanto era stato usato durante la notte:
aghi e filo, forbici, ... arnesi vari, tutto doveva essere risistemato al suo posto.
Dopo aver svuotato le tende da sacche, valigie e casse
si poteva procedere a smontare le tende stesse.
Si toglievano i pali, ancora di legno perché la carovana non si era mai aggiornata
ed era rimasta fedele ai ritmi ed ai modi di centinaia di anni fa,
si toglievano i vari ganci che univano le pelli ed i tessuti e che li fissavano al suolo,
si piegavano infine i tessuti e le pelli e si riponevano sui carri.

Altri si occupavano degli animali
e quando tutto era pronto si poteva partire.
La ripetizione quotidiana di queste manovre
aveva reso i membri della carovana molto efficienti
nella loro esecuzione.
Alle sei di solito eravamo già in cammino.
La giornata era scandita da una sequenza ripetitiva di azioni.
Si viaggiava lentamente per circa due ore.
La maggior parte di noi seguiva i carri e gli animali a piedi
perché sui carri non vi era posto.
Dopo due ore di cammino in strade dissestate e polverose
ci si fermava per rifocillare gli animali e le persone.
La sosta durava un'ora circa 
e si tirava fuori dai carri lo stretto necessario.
Talvolta era possibile fermarsi in qualche villaggio sperduto
e chiedere un po di acqua, vino e pane.
Dopo la pausa si risistemava tutto velocemente e si partiva
per altre  due ore di cammino.
Si procedeva con questa sequenza durante tutto il giorno
fino alle nove di sera,
ora in cui ci si istallava in un posto adatto per la notte.
Si spendevano quattro ore per mettere su le tende, allestire il campo,
preparare una buona cena, dedicarsi ad aggiustare ciò che si era rotto
ed a tenere tutto in ordine.
Finalmente si andava a letto, cioè ci si sdraiava su una pelle
dentro la tenda, e, se tutto andava bene, si dormiva per tre ore.
Ma spesso le ore di sonno si riducevano a due, una o anche nessuna
a causa di imprevisti, del tutto prevedibili, quali un branco di animali selvatici
che si avvicinava al campo, un temporale che faceva entrare l'acqua nelle tende,
il palo di una tenda che si rompeva ed andava sostituito.


L'assurdo di tutto questo è che nessuno sapeva bene dove stessimo andando.
Era chiaro a tutti che dovevamo continuare ad avanzare 
ma nessuno sapeva dove saremmo arrivati.
In più nessuno sapeva perché i ritmi ed i riti da seguire fossero quelli
ma sembrava a tutti evidente che ormai era cosi che
bisognava continuare.


Col passare del tempo tutto diventava più automatico 
ma anche più logorante.
Le strade erano sempre assolate o innevate.
Sembravano non esserci vie di mezzo.
Le distanze diventavano lunghissime e
la fatica si accumulava per poi, a tratti, sembrare sparire.


Talvolta, per condizioni avverse, non era proprio possibile allestire il campo,
per cui si mettevano su delle piccole tettoie fatte di pali e fogliame
e si dormiva seduti per quanto possibile ... "


Cosi mi sento.
Cosi ci sentiamo.
Più o meno cosi.

... e ne vale la pena.

guzman.

Una donna col suo bimbo in un accampamento di fortuna:










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